Il salice piangente storia, significato e leggende
Etimologia e significato
Originario della Cina, il salice piangente è arrivato in Europa alla fine del XVII secolo seguendo la Via della Seta. Il termine “salice” ha origini celtiche e significa “vicino all’acqua”, mentre l’aggettivo del nome scientifico (Salix Babylonica) è frutto di un curioso fraintendimento linguistico: un salmo dell’Antico Testamento descrive il pioppo babilonese, che in traduzione è diventato erroneamente il salice piangente.
In Italia è diffuso perlopiù un ibrido tra la specie S. Babylonica e la S. Alba. In particolare, due file di salici bianchi costeggiano e rendono pittoreschi lunghi tratti del fiume Adige a Verona, in terra veneta, alternandosi agli ontani per una cinquantina di chilometri.
Pianta dalle infinite risorse e dai mille usi: lo incontriamo nelle gerle, funge da spago per le cataste di legno, lo ritroviamo persino nell’acido salicidico della comune aspirina.
Grazie al suo esteso sviluppo radicale consolida le pendici franose e regge il terreno in prossimità di affioramenti d’acqua.
Miti e leggende sul salice piangente
- Presso i Celti il culto del salice piangente era strettamente intrecciato a una divinità femminile e simboleggiava la fecondità.
- Al tempo dei druidi il legno di questo albero veniva impiegato per la costruzione di strumenti musicali che ammaliavano il popolo, mentre i rami venivano utilizzati per realizzare ceste.
- Nell’Antica Grecia invece il culto del salice piangente era legato all’aldilà per via della facilità con cui i rami ricrescono.
- Presso gli Ebrei i salici propiziavano la pioggia.
- Per i Britanni erano in stretta connessione con il mondo delle streghe: la radice di “willow” (salice) è la stessa di “witch” (strega), e di rami di salice era fatta la scopa delle streghe inglesi. Il salice fu ritenuto causa di influssi malefici quando la medievale caccia alle streghe riesumò l’antico culto britannico.
- Legato invece all’immortalità è il simbolismo orientale del salice piangente. Non è un caso che il suo legno sia stato diffusamente impiegato all’interno di edifici sacri.
- Per i cristiani il salice ha simboleggiato alternativamente la purezza, la riverenza e il dolore. In quest’ultimo senso va inquadrata la leggenda secondo cui Cristo sul Golgota si rialzò aiutandosi con un ramo di salice. Leggenda vuole che il salice avrebbe teso i rami verso il basso per aiutarlo. Dopo che Cristo riprese il calvario, il salice non ripiegò le sue fronde e pianse per sempre. Ecco come e quando il salice avrebbe assunto il portamento che tuttora conserva, con i caratteristici rami decombenti.
Non si contano le favole e le leggende che nel corso dei secoli si sono intrecciate attorno al salice piangente.
Un’altra leggenda narra di come quest’albero maestoso, ai tempi in cui i suoi rami non pendevano, abbia fatto amicizia con un ruscello. Quando dei boscaioli minacciarono di tagliar il tronco del salice, questi pensò bene di abbassare tutta la chioma per impietosire i boscaioli. Andò a finire che gli uomini cambiarono idea ritenendo che l’albero fosse affetto da una qualche malattia. Da allora, come da leggenda, il salice ha mantenuto i suoi rami penduli.
Il salice piangente nella pittura e nella poesia
Il salice piangente è stato immortalato e celebrato da pittori e scrittori di ogni epoca.
Simbolo di morte, compariva spesso nelle opere funerarie di pittori inglesi dell’età vittoriana. Corot, uno dei più influenti e imitati paesaggisti dell’Ottocento, legò il suo nome a svariate raffigurazioni della nostra pianta.
Nell’Otello di Shakespeare, la disperata Desdemona intona la nota canzone del salice piangente, che racconta di una donna che ha passato i suoi stessi tormenti amorosi. Il simbolo del salice ritorna nell’Amleto, quando Ofelia annega dopo averne spezzato i rami.
Ma è la poesia che ha fatto vibrare veementemente le corde del salice piangente.
Nella celebre “Alle fonti del Clitumno” Carducci contrappone la possenza dei frassini e dei lecci alla mollezza dei salici, che possono soltanto inchinarsi al cospetto del dio Clitumno.
Di segno opposto Quasimodo, che nella poesia “Alle fronde dei salici” crea la delicata e struggente immagine dei cetri appesi ai rami penduli del salice: è il canto di risposta agli orrori della seconda guerra mondiale.
Il tormentato Byron, a ragione considerato il maggiore poeta dell’Ottocento, ha legato la simbologia del salice piangente a numerose sue poesie.
Più recentemente, al nostro malinconico albero la poetessa Anileda Xeka ha dedicato un componimento tanto breve quanto struggente.
Il brivido dei salici, piacere per pochi
“Il brivido dei salici”, per dirla con Rimbaud, fa gola a tanti ma non è per tutti.
Molto apprezzato come albero ornamentale per il suo aspetto regale ed elegante, il salice piangente richiede una cura particolare, a partire dalla scelta del luogo preciso in cui metterlo a dimora.
Il fatto è che può raggiungere dimensioni ragguardevoli, proiettando una notevole zona d’ombra e sviluppando un importante apparato radicale.
Può essere esposto in pieno sole, ma tollera bene le ombreggiature e anzi predilige zone in mezz’ombra.
Necessita di un terreno prevalentemente umido e non eccessivamente drenante, ma si adatta bene anche a terreni sabbiosi.
Per quanto il fascino del salice sia determinato dai rami penduli, una scrupolosa potatura si rende necessaria (tra novembre e febbraio) allorquando la pianta viene attaccata dai parassiti. Puoi operare accorciando o eliminando i rami più danneggiati.
Tollera periodi siccitosi, ma non soffre abbondanti annaffiature.
Affidandoti a un’azienda di paesaggisti del verde risolverai ogni dubbio in merito alla messa a dimora, alla potatura e all’eventuale concimazione.